1920: ultimi tempi della Spagnola in Valsesia


I nostri bambini della classe quarta di Scopello, dopo aver imparato che, anche 100 anni fa la popolazione ha dovuto affrontare un'epidemia simile a quella che stanno vivendo oggi, hanno immaginato di vivere a quei tempi. Dalle loro parole escono tutte le emozioni di questo momento strano. Vale la pena leggerli. Hanno lavorato a casa e trasmesso tutto alla scuola attraverso la piattaforma Edmodo, con cui siamo in contatto giornalmente. 


Questa mattina, quando mi sono svegliato, ho guardato dalla finestra e non c’era nessuno.
Mia mamma mi ha preparato la colazione sulla stufa: pane e marmellata con latte. La maestra mi ha spedito una lettera con scritti i compiti da fare. Dopo aver fatto i compiti io e i miei fratelli abbiamo preparato la tavola.
Nel pomeriggio abbiamo giocato con le carte da scopa e ho vinto io, abbiamo giocato anche con le mucche di legno.
Mangio cose sane che mi cucina mia mamma, di pomeriggio esco nel prato con il mio cane.
I compiti li faccio su una piccola scrivania di legno con la penna ad inchiostro. Non usciamo tanto perché c’è la Spagnola che è un’influenza che uccide tante persone e tanti giovani. Per ora noi stiamo tutti bene!
In questo periodo c’è anche la guerra mondiale e quando sento questa parola mi spavento. Io mi sento triste per le persone che muoiono.
Achille

Mi chiamo Andrea e abito a Scopello, un piccolo paese di montagna. Nelle ultime settimane sono costretto a stare a casa come tutte le altre persone perché c’è un’epidemia chiamata Spagnola che sta facendo molte vittime.
Sono molto spaventato perché ho saputo che i bambini dei miei vicini di casa si sono ammalati e per questo i miei genitori hanno impedito a me e ai miei due fratelli di uscire a giocare.
Abbiamo tutti paura di ammalarci perché non ci sono medicine che possano guarire questa malattia e gli ospedali sono pieni di ammalati.

Per il cibo non abbiamo problemi perché abbiamo una mucca che ci dà il latte, le galline che ci danno le uova e, ogni tanto, mangiamo qualche coniglio del nonno e la verdura la prendiamo dall’orto.
L’unica cosa positiva è che non vado a scuola ma la mamma mi fa scrivere qualcosa per non disabituarmi.
Le giornate le trascorro aiutando i miei genitori con gli animali e la mamma a preparare il formaggio e il pane.
Sono contento quando mi mandano a prendere il latte nella stalla perché di nascosto ne bevo un po’.  Il nonno sta aiutando me e i miei fratelli a costruire un carretto con le rotelle di legno, così, quando tutto sarà finito, potrò giocarci.
Alla sera vado a dormire presto e mi piace leggere qualche pagina del mio libro nel letto, anche se, con la luce della lanterna, non ci vedo bene.
Spero che i miei vicini guariscano e che questa brutta malattia finisca al più presto, così potrò tornare a giocare, ad andare a scuola e potrò finalmente portare la mia mucca al pascolo.
Andrea

Oggi è il 20 marzo 1920 e fuori casa nevica.
Mi sveglio perché sento la mia mucca Brunilde muggire nella stalla. Corro da lei e vedo che è nato un vitellino.
Questa è la cosa più bella che è successa in questi giorni: metà della mia famiglia è ammalata. I miei zii, la nonna e il nonno hanno tutti la tosse e la Spagnola, infatti non li vedo da giorni.
Per fortuna il papà, la mamma, mio fratello ed io stiamo bene.  Il papà e mio fratello più grande tagliano la legna,  io vado a prendere l’acqua alla fontana e la mamma cucina. La mamma mi ha anche promesso che quest’estate andremo all’alpe tutti insieme a mangiare il formaggio.
                                                                      Leonardo

Sono seduto davanti alla mia stufa a legna mentre la mamma mi prepara la colazione. Sono triste perché non si può uscire: fuori c’è la Spagnola, dobbiamo stare tutti chiusi in casa.
Si può solo uscire a portare gli animali a pascolare; andiamo io e il papà e, quando abbiamo finito, portiamo il latte alla mamma e insieme facciamo il formaggio. 
Sono preoccupato per mia nonna che ha preso l’influenza al lavatoio mentre lavava i vestiti: è anziana, speriamo che guarisca presto.
Mi manca il mio amico Achi, proverò a mandargli una lettera anche se ci metterò un po’!
Pietro


Alla Piana, dove abito io, lunedì 30 marzo 1920 siamo tutti chiusi in casa per l’influenza spagnola.  Noi stiamo tutti bene e per passare il tempo ascolto le storie che mi racconta la nonna e gioco con il gatto. Il nonno munge, la mamma cucina, il papà lima i coltelli e mio fratello costruisce delle cataste con dei piccoli legnetti.  Io esco di casa solo per andare a prendere le uova nel pollaio. Sono giorni duri e difficili ma ce la faremo.
Camilla




Oggi è il 5 maggio 1919. Purtroppo ci sono molte persone che
stanno morendo per l'influenza Spagnola e noi per fortuna
stiamo bene. Non posso vedermi con i nonni e con le mie amiche e questo mi fa piangere ogni tanto. Dato che oggi è il mio compleanno la mamma, per farmi sentire meno triste, mi ha cucinato la polenta concia che mi piace tanto. Mentre mio papà e mio fratello sono andati a tagliare la legna, io ho aiutato la mamma a cucinare. Dopo sono andata nel prato davanti a casa e ho raccolto dei bellissimi fiorellini colorati. Tutto è triste ma cerchiamo di stare al sicuro nella nostra piccola casa. 
Greta








Nel 1920 dovevamo stare a casa per non prendere le malattie brutte come per esempio la Spagnola e anche perché non avevamo le medicine e la tecnologia di oggi. Dovevamo stare a casa e le mascherine si facevano in casa.
Annalisa





Nel 1918 scoppiò il virus della Spagnola e i giornali spagnoli furono i primi a parlarne.
Scrivevano: "tantissimi morti, città invase, restare a casa e non uscire per nessuna ragione". Tra guerra ed epidemie i morti non cessavano, non riuscivano a seppellirli ed inventarono delle mascherine di stoffa che coprivano il naso e la bocca evitando il contagio da raffreddore e tosse. Tutto finì all'improvviso nel 1920. Riaprirono teatri, negozi e chiese e pure i mercati. Si aggiunsero tombe nei cimiteri. 
Elia

Le conseguenze della pandemia della Spagnola. 
E’ stata molto tragica e complessa. Oggi è diverso perché nel 1918 c’era la guerra. 
Penso che a quel tempo deve essere stato molto difficile far fronte alla vita di tutti i giorni con un virus di quelle dimensioni. Se avevano i sintomi, come facevano ad avvisare il medico? Dove potevano andare? Le persone che avevano parenti che vivevano lontano come potevano sapere di loro? So come stanno i miei parenti lontani che vivono in Argentina, perché posso inviare messaggi, fare videochiamate, ogni giorno, tutte le volte che voglio attraverso il cellulare.
Cosa faceva un bambino di dieci anni in quella situazione e in quel  momento? Quando in questo momento io ho l’opportunità di continuare i miei studi, anche se in un modo diverso. Mi sembra che non siamo mai preparati alle pandemie, né nel passato, né nel presente, perché se lo fossimo, non ci sarebbero così tante vittime. Un giorno impareremo dalla storia?
                                                                                                                                                      Galo









Nel 1920 la gente doveva uscire con le mascherine perché c'era la Spagnola.
Io aiutavo la mamma e andavo a prendere la legna.
                                                                                      Soraya
                                                                                       

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